Come un sarto misura con scrupolo e con la massima attenzione prima di poter realizzare un vestito che calzi perfettamente al cliente, così anche in bocca del paziente esiste una bella differenza fra i dispositivi personalizzati e progettati individualmente e quelli invece forniti dal commercio, progettati per soddisfare tutti e nessuno.

Questa opzione la ritengo fondamentale e profondamente importante per ogni passaggio che viene sviluppato in bocca e che sicuramente non si sottrae a questa regola, il nostro punto di partenza: l’ “impronta”.

Sicuramente l’impronta ricopre un ruolo fondamentale e cruciale nello sviluppo delle Toronto perché oltre a dover rappresentare con massima precisione le superfici anatomiche, deve riuscire a fornirci l’esatta posizione nello spazio degli impianti per poter giungere alla realizzazione di un modello master fedele e affidabile al 100%.

Durante la mia esperienza ormai ventennale sulle Toronto ho visto eseguire ed ho letto tecniche di impronte eseguite in svariati modi, materiali e metodologie:

  • In gesso era molto praticata alla fine degli anni 2000, negli edentuli dava sicuramente un’ottima stabilità, ma portava in sé parecchi NO. Difficilmente si adattava ai pazienti con denti residui, si doveva eseguire individuali con doppi scomparti per gesso e materiali siliconici e implicava una buona dose di esperienza da parte del dentista nel preparare la giusta consistenza del gesso e sicuramente un grosso fastidio al paziente che doveva restare per parecchi minuti  con in bocca il gesso che nella fase di presa surriscaldava parecchio le mucose.
  • L’impronta fatta bloccando prima i transfer fra di loro con resina o composito e aggiungendo poi il materiale riempitivo da impronta monomassa classico. Il lato oscuro della medaglia portava con sé difficoltà e stress nel bloccare transfer lontani fra loro con resina che colava ovunque in bocca al paziente, porta impronte non idonei e la maggior parte delle rilevazioni manchevoli dei tessuti gengivali, per non parlare del tempo di seduta necessario.
  • La presa di un alginato con il successivo carotaggio del modello a livello gengivale e il posizionamento degli analoghi fissati ai transfer uniti assieme a loro volta con un salamino di resina: qui la vera domanda era la capacità del tecnico di riposizionamento nel modello. Forse questa tecnica è utilizzabile per pochi impianti con denti residui, a cui appoggiarsi molto poco precisa per full arch.
  • Altre variegate varianti sul tema legate alle esperienze personali e a risultati più o meno positivi ottenuti.

In più articoli ho letto esaltare le caratteristiche di questo o quell’altro materiale come la panacea di tutti i problemi. Personalmente so che tutti i materiali sono soggetti e non possono sfuggire alla legge fisica deilcambiamento di stato della materia: “quando si assiste a un cambiamento da liquido a solido, si ha un cambiamento di volume del materiale.” https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_della_materia

Proprio partendo da questo concetto fisico, l’unico metodo per poter avere un controllo è una valutazione consapevole del cambiamento, progettando un portaimpronte individuale al computer, avente specifiche spaziature predeterminate, prestabilite, controllate, verificate e sperimentate negli anni sul campo e racchiuse all’interno del Protocollo Toronto Negri, che permettano di avere intorno al transfer uno spessore idoneo e conosciuto di materiale che contrarrà in tutte le direzione in modo omogeneo e unitario.

Il procedimento assieme alla valutazione specifica della geometria del transfert e della sua capacità di restare in sottosquadro nel materiale caratterizza la positiva riuscita dell’impronta.

Sicuramente partire da un’eccellente e controllata impronta è un bell’inizio per proseguire poi con le fasi lavorative della Toronto attraverso dei passaggi obbligati: si potranno controllare possibili errori legati alla manualità o all’anomalie dei materiali.

Open chat
Contattaci